Era il 7 Luglio 2009, un temporale di forte intensità generò un primo nubifragio di eccezionale intensità su Milano.
I rilevamenti di Milano in zona Città Studi misurarono tra le ore 6:30 e 6:45 ben 36 millimetri di pioggia, nei successivi 15 minuti altri 45 millimetri, ulteriori 18 millimetri sino alle 7:15.
Caddero circa 81 millimetri in 30 minuti, mentre il temporale complessivamente portò 99 millimetri di pioggia.
Una seconda ondata di maltempo giunse nell’ora di punta del traffico e dei movimenti delle persone che avvengono al mattino, quanto un altro violento temporale si abbatté tra le 7:45 e le 9:15. Complessivamente fu molto meno intenso del precedente in Città Studi (zona est di Milano), eccetto nella prima fase, ma scaricò su una città già ferita dal nubifragio altri 60 millimetri di pioggia. Il secondo temporale interessò soprattutto il settore ovest cittadino.
I rilevamenti pluviometrici milanesi indicano accumuli di quel mattino del 7 Luglio 2009 tra i 100 e i 190 millimetri.
L’evento meteo generò in alcune zone gli effetti di un’alluvione lampo. Varie stazioni della Metropolitana si ritrovarono allagate, decine e decine di palazzi rimasero senza energia elettrica per buona parte della giornata.
La fragilità della Metropoli venne a galla. Milano apparve una città ferita. Il temporale del primo mattino pareva uno tsunami venuto dal cielo per l’intensità della pioggia torrenziale, mentre il buio generato dalle nubi spessissime veniva illuminato da fittissimi lampi e fulmini.
In gergo giornalistico, più tardi simili eventi meteo sono sovente chiamati bombe d’acqua, ma in Meteorologia sono definiti nubifragi. E per inciso, lo tsunami non viene dal cielo e nulla ha a che fare con un temporale. Ho usato questo termine per illustrare più adeguatamente l’evento straordinariamente intenso.
Da anni in redazione ci chiediamo se sia sbagliato o no usare termini allargati quando scriviamo per i nostri lettori, ciò come avviene in America e non solo. Scriviamo questo perché in Italia è in atto una caccia alle streghe del meteorologo, giornalista, divulgatore di turno che usa una terminologia non, che sfrutta l’uso dell’italiano.
Sono fermamente convinto che è opportuno usare i termini corretti, ma anche illustrare la dimensione dell’evento meteo con aggettivi differenti dal ristretto vocabolario meteorologico italiano, mentre nei miei interventi non uso mai i termini in lingua inglese esclusivamente per una questione di principio: la nostra è una lingua ricca di vocaboli, che ha ampie capacità espressive e di descrizione, e io scrivo in italiano.
In Francia, dove la difesa della lingua francese è molto forte, sarebbe intollerabile usare parole inglesi per descrivere un evento meteo, una previsione.